Dalla conferenza di Radhanat Swami tenuta in Bologna il 10 Settembre 2009
Una cornice può rendere più attraente un quadro, e metterne in risalto, per contrasto, alcuni colori rispetto ad altri e, comunque, permette l’esposizione di quel particolare soggetto ad un pubblico altrimenti escluso. Così, con lo stesso effetto di condivisione, Bologna si è ritrovata ancora una volta arena di confronto, punto di incontro tra una sempreverde conoscenza millenaria – profonda, immensamente profonda – e l’attualità, la praticità quotidiana, il banale incedere degli interpreti del gioco della vita all’inizio del terzo millennio.
E come meglio approcciare questo doppio connubio – fra oriente e occidente, fra tradizione e attualità – se non immergendoci dapprima nella tradizione del luogo storico che ha ospitato la nostra natività, per fare il primo passo in una sacralità più nota, più familiare, per poi immergerci in un canale eterno, omni-pervasivo e omni-comprensivo al di là delle più sottili identificazioni dovute a luogo, tempo e circostanza.
La storica sala del Baraccano, affrescata con dipinti della tradizione sacra cristiana, ha ospitato gli investigatori di quest’era: chi curioso, chi in cerca di qualcosa di più, chi per caso.
In questo scenario fatto di luoghi, di corpi e di menti alcuni fortunati individui si sono incontrati per alimentare quel ricordo; nessuno era lì per caso e nessuno è tornato a casa senza aversi riempito le mani.
Il Centro Culturale Vaikuntha, che si pone come obiettivo la valorizzazione dell’individuo attraverso la saggezza dello yoga della Bhakti, ha amabilmente organizzato questa possibilità: uno scorcio di luce, di piccolo diametro, per le contenute ma crescenti sue capacità, e esteso in profondità, grazie alla presenza di saggezza di Sri Srimad Radhanath Swami Maharaj.
L’obiettivo di questo piccolo articolo è quello di mettere in luce sinteticamente, due delle tante tematiche trattate durante questo incontro, senza la pretesa di poter riprodurre lo stesso spirito e la stessa atmosfera creata dalla Sua presenza. Una santa presenza per consapevolezza e comprensione.
Ecco che Sri Srimad Radhanath Swami Maharaj(RS) ha esordito raccontando un episodio autobiografico, come descritto nel suo nuovo libro dal titolo A Journey Home.
Siamo nel ’70, RS ha circa 19 anni, e dopo aver viaggiato dall’America all’India – tra avventure, autostop e realizzazioni spirituali – decide di vivere come un sadhu alle pendici dell’Himalaya, dove fa la conoscenza di tanti santi, saggi e maestri.
Durante il suo soggiorno vicino a Rishikesh, gli accadde, di passare per un ponte sospeso sul Gange e di accorgersi di essere giunto in un lebbrosario, dove vivono centinaia di persone in completa povertà.
Appena questi lo vedono, notando la sua pelle bianca, lo attorniarono chiedendogli “bakshish”, “ bakshish” (elemosina) e facendosi sempre più oppressivi lo palpeggiano per cercare del denaro, senza risultato.
Ecco che RS ha una parte di se che prova un senso di ingiustizia (perché deve capitare proprio a lui?), da un’altra ha paura perché la lebbra è molto contagiosa, un’alta parte invece prova compassione per l’enorme sofferenza che provano quelle persone.
Le quali, dopo una ventina di minuti questi si accorgono che RS vive come un mendicante e non ha altro che i suoi vestiti. Allora si allontanarono e si disperdono velocemente nel bosco. Ancora sconvolto RS prosegue per la strada che ha intrapreso e incontra una vecchia signora lebbrosa in uno stato avanzato, che lo guarda negli occhi con compassione intensa. Ella aveva avvertito la confusione e la sofferenza che RS aveva provato in quella mischia, e desiderava dargli amore e consolazione come una madre.
RS capisce il suo sentimento, comprende che il cuore di quella donna desidera ardentemente, quasi mendicando, la possibilità di poter dare amore. Dunque le si avvicina e lei poggia la mano priva di dita sulla testa di RS e dice ripetutamente in Hindi: “Che Dio ti benedica, figlio mio”.
La donna piange in estasi, il suo volto è luminoso e quella luce va al di là della malattia, va al di là della designazioni e RS può vedere la persona più bella che abbia mai visto.
Prova cosa significhi la gioia di dare.
Tornato al Gange capisce che il prezzo pagato passando per quella mischia è niente in confronto a quella comprensione e a quella visione che avuta alla fine.
Si siede a meditare sull’accaduto e guarda il Gange, di cui può vederne solo l’incresparsi della superficie. In realtà il Gange è molto profondo e sotto ciò che è visibile ci sta tutto un mondo di pesci, vegetazione e paesaggi.
Così è anche la vita. Raramente ci sforziamo di conoscerne la profondità: la superficie di quella donna era la malattia, ma l’interno ospitava un meraviglioso desiderio di amare.
Ogni situazione può essere un occasione per accrescere la propria compassione, il proprio amore e la propria saggezza. Per varcare quella superficie penetrando l’essenza attraverso la comprensione.
Successivamente RS ha raccontato la storia, ambientata 700 anni fa, del discepolo che chiese al guru quali siano le qualità di una persona santa. Il guru lo mandò da un altro saggio dal quale giunse dopo un lungo viaggio e gli chiese la stessa domanda. Dopo sei mesi ottenne la risposta: “il santo, il saggio, è come il sale, è come un pollo, è come una gru e, infine, è come te”.
Il discepolo rimase basito e confuso della risposta, ma non ebbe ulteriori spiegazioni in merito e decise di tornare dal suo guru, al quale riportò ciò che aveva sentito. Il guru fu entusiasta della risposta e spiegò al suo discepolo punto per punto.
RS ha trattato l’analogia del pollo: il pollo va dove c’è sporcizia e spazzatura, con grande attenzione cerca i semi più nutrienti e con cura li seleziona e li mangia, scartando tutto il resto.
La persona saggia è colei che cerca sempre l’essenza.
Saggio è colui che vede la scintilla divina in ogni essere vivente, all’interno del corpo che non è nient’altro che un veicolo.
Uno dei problemi più grandi per la società moderna sta nel fatto che ci vediamo gli un gli altri in termini di corpo e di altre situazioni temporanee, e non in base alla nostra essenza spirituale: scintilla divina pura, eterna, amabile e amorevole nella cui dimensione siamo tutti fratelli e sorelle.
Nella dimensione del corpo nascono migliaia e migliaia di divisioni e conflitti. Mentre la natura dell’anima, dell’atman, è quella di Amare: amare il Divino e provare compassione per ogni creatura.
Anche nel Vangelo è detto che l’essenza di ogni comandamento è quella di amare il Divino con tutta la propria mente, con tutto il proprio cuore e con tutta la propria anima e amare il prossimo come se stessi.
Nel Bhagavatam: l’essenza di ogni cammino mistico è risvegliare l’amore per il Divino e aiutare gli altri a risvegliarlo.
Questa è l’essenzialità e perciò possiamo imparare molto da un pollo.
Se non ci focalizziamo sull’essenza ci aspettano grandi problemi, anche agendo nel nome di una fede o di un cammino spirituale.
Qualunque ruolo o occupazione abbiamo, in qualunque situazione siamo immersi possiamo scegliere come obiettivo primario il coltivare la nostra spiritualità, per scoprire quell’enorme tesoro d’Amore e condividerlo poi con gli altri.
Nella cultura Vaishnava ciò si attua attraverso il canto e la recitazione dei Nama-mantra, ovvero mantra che richiamano le energie divine, per risvegliare l’Amore nella scoperta della bellezza del Divino, della Natura e di ogni Essere Vivente.
Prima di concludere vorrei notare come alcuni argomenti erano già stati trattati nella conferenza di Bologna dell’anno scorso.
Ciò mi fa riflettere come debbano essere di rilievo le tematiche ritrattate se RS si è sentito di riproporle anche quest’anno, proprio come se in quell’energia, in quell’ambiente, in quella determinata situazione fosse stato nuovamente ispirato a ripetersi. E come nei versi sanscriti, quando una parola viene ripetuta più volte è per sottolinearne l’importanza, così le parole ripetute da un saggio non possono che seguire la medesima logica.
(PremaKumara Das)
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